Come testimonia una lettera a Luciano Serra del settembre 1945, Pasolini da giovane provava verso Dante l'insofferenza e la diffidenza che provava per i padri. Ma a Roma nel 1950 chiede aiuto a Dante per scendere nell'inferno delle borgate. Ne resta traccia in "Alì dagli occhi azzurri", dal centone dantesco che precede "Dal vero" fino all'epigrafe di "Accattone". Nel frammento intitolato "La mortaccia" una prostituta si appresta al viaggio ultraterreno, guidata da Dante nel ruolo di Virgilio. Anticipando il plot della "Mortaccia" a Massimo Massara (su "Nuova Generazione", nel 1960) Pasolini nomimna se stesso come viaggiatore e la prostituta come guida; accenna a un antinferno in cui incontrerà Moravia, Gadda, Thomas Mann e promette un Farinata/Stalin torreggiante all'ingresso di Dite. Sono gli incunaboli della "Divina Mimesis": licenziandola per la stampa nel 1975, Pasolini la presentava come un "documento": documento della crisi che lo aveva attanagliato verso la metà degli anni '60, certamente, ma anche allegato da aggiungere agli altri per quell'eterogeneo monumento autobiografico che ormai si era rassegnato a lasciare di sé. Monumento composto di materiale scritto, visivo, sonoro: greve (sotto le spoglie della leggerezza) e affascinante scacco di un romanzo impossibile.