Il padre selvaggio è qualcosa a mezza strada tra il racconto e la sceneggiatura. Pasolini lo scrisse per un film che non ha realizzato. E' la storia di una educazione alla vita o, se vogliamo, della scoperta della propria identità da parte di un ragazzo negro, Davidson 'Ngibuini: un adolescente come tanti altri, che venuti dalle tribù lontane vivono e studiano tra i cortili e le baracche-dormitorio della scuola di Kado, in Africa.Ogni classe ha il suo insegnante e, anche Davidson e i suoi compagni - Idris, Paolino, 'Ngomu - hanno il loro. Gran parte del racconto è proprio la storia dei rapporti difficili, passionali, tra il professore bianco e i suoi scolari. Sullo sfondo si agitano inquieti i fantasmi del neo colonialismo, tra truppe mercenarie, campi di concentramenro per tribù negre, villaggi in preda ad uno spaventoso decadimento. Davidson e i suoi coetanei, con il loro povero bagaglio di conoscenze, intuiscono confusamente l'intrico di questa orribile situazione di sfruttamento e di morte: non sanno ancora se immergervisi o se assistere al turbine del disordine e della violenza come spettatori, come estranei.Dopo le vacanze - una parentesi che lo ha immesso di colpo nel magma delle contraddizioni della sua gente - Davidson torna a scuola: ma per lui non è più come prima. Una lacerazione si è aperta in lui: la ferita è il prodotto del contrasto tra storia e preistoria, tra natura e "civiltà": ma è con questa ferita che Davidson ha acquistato "un duro sentimento di passione razionale": sul suo viso si è aperto "un fosco, innocente sorriso".