Nel 1950 Pasolini ventottenne arriva a Roma, con pochi soldi e molti manoscritti. L'esile fama di poeta in friulano gli sta stretta: ha già pubblicato sui giornali del Nord qualche prosa d'arte, ha preso parte a qualche polemica, ma le sue ambizioni sono più voraci, i tentativi romanzeschi si stanno accumulando tra le sue carte.La semi-disoccupazione lo sprona, scrive per sfogare la sua ansia sperimentale e per non lasciarsi sopraffarre da una città che nega, con la propria avida violenza, qualunque delicata elegia. Il vecchio stile rischia di schiantarsi sotto l'urto, e invece sotterraneamente (estremizzandosi) si rafforza. Assistiamo allo spettacolo di un talento al lavoro, che messo alla frusta risponde imboccando mille strade diverse: una ricchezza potenziale che uscirà purificata, ma certo anche impoverita, nei due fiumi principali che saranno Le ceneri di Gramsci e Ragazzi di vita.Questo ribollente e intensissimo momento dell'attività pasoliniana, per quanto attiene alla prosa, era stato documentato sinora soltanto da una raccolta garzantiana del 1965, Alì dagli occhi azzurri; ma molto era rimasto escluso, sparso in giornali, volumi d'occasione, rivistine ormai introvabili. Il lettore lo trova ora radunato qui: raccontini manieristici commoventi nello slancio di comprendere l'incomprensibile; squarci di verismo corredati da tecnicismi dannunziani e registrazioni (quasi) magnetofoniche; riflessioni sulla parlata romanesca; pezzi giornalistici fatti per riempire il portafoglio e reportage ormai maturi lievitati dalla passione civile.Né mancano alcuni brani inediti, scelti per dare un'immagine il più possibile completa dell'incontro-scontro del provinciale Pasolini con la gigantesca, saggissima, cieca e crudele "città di Dio".